Il tema è caldo, finalmente, ed è stata scoperchiata la “Man Box“. Così è stato chiamato – da uno studio condotto da Promundo e il brand AX – l’insieme delle credenze e dei comportamenti che la società impone agli uomini da sempre. Tra questi, il dovere di fare i duri, attenersi ai rigidi ruoli di genere e usare l’aggressività per risolvere i conflitti. Il risultato della pressione dovuta agli stereotipi? Un costo sociale allarmante: incidenti stradali, suicidi, depressione, bullismo, violenza, binge drinking. Una mascolinità che sta diventando sempre più tossica.
La commedia francese Le Gran Bain (il titolo in inglese è Sink or Swim) – diretta da Gilles Lellouche – utilizza il nuoto sincronizzato come veicolo per esplorare la mascolinità; ed infatti, racconta la storia di un gruppo di nuotatori di sesso maschile che affronta la depressione e allo stesso tempo esplora l’idea di amicizia, solitudine, inclusione e realizzazione. La serie web Man Enough – creata da Justin Baldoni, qui il suo TEDTalk – sfida questi cliché con conversazioni sincere a cena insieme a importanti atleti, attori e artisti americani.
In Canada, con il format The Huddle si organizzano incontri settimanali focalizzati sulla figura dell’uomo. In Gran Bretagna, c’è The Whole Man Academy dove si parla di sentimenti maschili, ma anche salute mentale, aspirazioni, aspettative. E a Londra, intanto, si fa largo il servizio Manny&me: chi ha detto che le nanny debbano essere solo donne? Ma soprattutto a che punto siamo con la separazione dai valori e dalle credenze più radicate intorno alla mascolinità?
In questi mesi è nato in Italia Maskulinity, l’osservatorio sulla rappresentazione dei maschi nella comunicazione che si rivolge a tutti i brand che vogliono capire e relazionarsi con il cambiamento di paradigma. Il team: dieci ragazzi e tre ragazze, la classe del College Brand New da poco diplomata alla Scuola Holden.
“Dovevamo essere una classe monopolizzata da maschi, invece Sara ci dà lezioni di calcio, sia in campo che fuori. Giulia è la più giovane ma ci ha fatto capire che le ragazze sono più sagge di noi. E se Dio ha creato la Terra in sette giorni, Maria ci mette sette secondi a farti capire che lei può conquistarla quando vuole.Abbiamo fatto progetti per marchi a noi sconosciuti, campagne di comunicazione e analisi di mercato partendo da zero. Siamo dieci ragazzi, ma sono bastate tre ragazze per farci chiedere: cosa vuol dire essere maschi oggi?”
E allora, abbiamo voluto saperne di più e abbiamo fatto (più di) quattro chiacchiere con Roberto Tucci, Head of Communication & Digital alla Scuola Holden e coordinatore del College Brand New, e i suoi neodiplomati Matteo Fontana e Maria Luigia Donati – in rappresentanza di tutto il gruppo.
Buona lettura.
* * *
Una mascolinità con la K, quella di Maskulinity. Una mascolinità con una maschera che obbliga molti uomini a fare i maschi più che a esserlo. Come nasce questo progetto? Che cosa vi ha fatto scattare l’urgenza di trasformare questo insight in un osservatorio vero e proprio?
Roberto: La nostra discussione in classe è iniziata quando Gillette ha pubblicato il suo short film con il quale prendeva posizione rispetto al #metoo. Il fatto che per superare delle profonde ferite nella nostra società causate alle donne da alcuni atteggiamenti degli uomini servisse superare anche gli stereotipi maschili ci è sembrato il punto cruciale.
Parlandone, a tutti “The best a man can be” risuonava meglio di “The best a man can get”, eppure lo spot aveva causato tante polemiche. Siamo partiti da questo e abbiamo poi notato che in tanti paesi la discussione sul tema sta velocemente montando come dimostrano per esempio il numero monografico della rivista Anxy e l’osservatorio inglese di New Macho UK. In Italia siamo indietro e abbiamo deciso di prendere l’iniziativa.
*
Matteo: Volenti o nolenti siamo tutti vittime degli stereotipi che i brand, tra cui la stessa Gilette, ci hanno propinato negli anni. Ci siamo resi conto che nel mondo qualcosa sta cambiando e sta riguardando ogni ambiente, l’intrattenimento in primis. I tentativi, più o meno goffi sono ovunque: da una scena chiave dell’ultimo Avengers alla prima puntata della quinta stagione di Black Mirror. Quest’ultimo esempio in particolare è andato a scardinare uno degli stereotipi più forti a cui siamo abituati.
*
Maria Luigia: Io all’inizio ero un po’ scettica, poi cercando e informandomi ci sono entrata dentro e mi è piaciuto molto osservare come l’uomo veniva raffigurato dai mezzi di comunicazione. Ho rivisto tutti i personaggi dei libri che avevo letto e dei film che avevo visto con un’ottica diversa, ho iniziato a analizzarli da un punto di vista sociale, lo stesso mi è successo con le campagne pubblicitarie e sono più consapevole adesso e un po’ più aperta.
Questo osservatorio può davvero aiutare a cambiare le cose. Tutti guardiamo la tv, Netflix e stiamo su internet, spesso ci facciamo condizionare da quello che vediamo e quindi perché non farci condizionare da interpretazioni positive e nuove invece che dai soliti vecchi stereotipi?
Gli uomini stanno cambiando, è vero quello che dichiarate. Ma perché le aziende faticano a capirlo? Che idea vi siete fatti voi?
RT: Credo che sia davvero una questione generazionale. A livello manageriale, e anche di responsabili marketing e comunicazione, si sconta un gap di età rispetto ai più giovani. Ovviamente la differenza vale anche a livello di target, ma in un’epoca in cui le differenze tra le generazioni si ampliano, si rischia di creare una situazione di vera incomunicabilità.
*
MF: Se in molti campi noi italiani dettiamo le regole, in quello corporate siamo indietro. Ti faccio un esempio: quando abbiamo esposto per la prima volta il progetto, da una parte abbiamo avuto un riscontro più che positivo, ma dall’altra abbiamo ricevuto delle critiche, poche per fortuna, da parte di persone che non avevano capito il nostro intento.
Penso che la situazione nelle aziende italiane sia pressoché identica: da una parte c’è una spinta all’innovazione dei valori ma dall’altra una parte ancora ostica e ben più salda al comando. Questa è la giustificazione che mi do quando vedo certe campagne italiane: una fra tutte quella della Kia con protagonista Diletta Leotta.
*
MLD: Le aziende faticano a capirlo perché non vogliono vedere le cose: se fino a oggi non hanno avuto problemi a raccontare le cose sempre allo stesso modo perché cambiare? Non sanno però che le nuove generazioni sono davvero diverse dalle altre: internet cambia le persone, così come i social. Se sei nato che internet esisteva già il cambiamento è ancora più radicale. Fino a qualche anno fa avevamo un accesso limitato alle informazioni adesso invece possiamo raggiungere il mondo intero con un clic, possiamo sapere come gli altri paesi si comportano su un determinato argomento, possiamo fare confronti, è più facile accorgersi che magari qui in Italia le cose a volte sono proprio arretrate.
La Generazione Z è decisamente più fluida. Sarà sufficiente questo approccio ad accelerare il cambio di paradigma?
RT: Credo di sì, e un ruolo fondamentale in questo cambiamento di sensibilità lo giocano le donne, proprio come dall’altro lato per superare gli stereotipi femminili serve un salto in avanti da parte degli uomini. Oggi moda, cinema, serie Tv stanno rappresentando bene questa fluidità a livello globale e la generazione Z rappresenta in pieno questo cambiamento.
*
MF: Penso di sì e ne stiamo già vedendo i risultati. Suonerà da vecchi ma da Millennial posso affermare che già dalla mia generazione alla Z l’accelerata è stata notevole.
*
MLD: Anche per me sì: i giovani di oggi non sono abbindolabili facilmente, attraverso i propri genitori possono sapere quello che c’è stato prima, grazie all’aiuto della tecnologia, se utilizzata bene, possono davvero mandare in crisi certi stereotipi, anche perché la maggioranza di loro non vuole stare dentro categorie prestabilite. Hanno ricevuto in mano un mondo a pezzi e una società lacerata dagli stereotipi, hanno capito che certe dinamiche vanno cambiate. Basta lasciare loro spazio e tempo, di sicuro faranno qualche errore, ma io sono molto fiduciosa: hanno una bella capacità analitica, faranno grandi cose.
Ci sono aziende che stanno lavorando bene in questa direzione? Chi possiamo seguire per farci un’idea di che cosa è possibile fare sul tema?
RT: L’esempio migliore sul tema mi sembra quello di Axe che con Is it ok for guys ha aperto la strada a una serie di comportamenti apparentemente poco mascolini e che invece devono appartenere ai maschi come alle femmine. Il fatto che venisse da un brand storicamente molto attento alla seduttività maschile ne aumenta il valore. Nel nostro progetto pilota sui brand automobilistici, comunque, diversi spot rimangono sotto la soglia del 50% di mascolinità tossica e il fatto che questo avvenga in Italia e in un settore a forte rischio di tossicità è un ottimo segnale.
*
MF: Ho citato prima Black Mirror ma lo stesso si potrebbe dire per la sua piattaforma, Netflix. Trovo che stia facendo un gran bel lavoro sul tema, ha colto l’occasione per staccarsi dai competitor e ricercato un nuovo linguaggio per le nuove generazioni, libero dagli stereotipi.
*
MLD: Gucci! Alessandro Michele ha dato una forma totalmente nuova a quello che intendiamo per maschile e femminile, non sono più generi che identificano due fisicità e mentalità diverse, sono visti come attitudini che mescolano caratteristiche femminili e maschili arrivando a vestire corpi che perdono, culturalmente, gli attributi del genere stesso.
Tutte le sua campagne, oltre che esteticamente bellissime, sono molto studiate per lasciarti qualcosa, lo ha fatto con il video The future is fluid diretto da Jade Jackman e con la nuova campagna pubblicitaria realizzata con il regista Harmony Korine, che è sempre stato un tipo decisamente fuori dagli schemi.
Durante la prima parte del vostro lavoro di ricerca, c’è stato qualcosa che vi ha davvero sorpreso, in positivo o in negativo? Qualche elemento, dato, reazione che non vi aspettavate?
RT: Personalmente ho notato che i meno giovani fanno più fatica a comprendere il tema e a sentire l’esigenza di questa discussione… Credo si tratti anche di una questione di sensibilità rispetto a un paradigma che è cambiato. Abbiamo invece ricevuto pareri estremamente positivi da chi osserva l’Italia con uno sguardo internazionale, perché risulta più evidente il ritardo del nostro paese su questo tema.
Un’altra cosa che ci ha colpito è il fatto che proprio in questi mesi sia stato pubblicato Strongmen (Edizioni Nottetempo), che indaga il ruolo di alcuni maschi alpha fortemente tossici sui governi di diversi paesi del mondo. Il racconto di come è stato creato a tavolino il sex symbol Putin o di come Bolsonaro si sia imposto in Brasile cavalcando la sua omofobia ci ha portato a riflettere sul tema anche in Italia, dove Salvini una volta si fa fotografare a torso nudo mentre la sua fidanzata gli stira le camicie e un’altra volta mostra con orgoglio di maschio incapace di cucinare un piatto di bucatini da incubo.
La politica quindi ci mostra che c’è ancora tanto da fare, e che a fronte di un movimento di innovazione, ce n’è un altro di restaurazione, come se i maschi fossero messi a rischio dal cambiamento. Esiste un movimento che parla di misandria e predica l’antifemminismo. Avremmo preferito non scoprirlo.
*
MF: Prima abbiamo parlato di come l’Italia sia più indietro rispetto al resto del mondo in tema di percezione del cambiamento. In America la rivista Anxy ha dedicato l’ultimo numero proprio al tema della mascolinità e mi ha stupito leggere di Terry Crews, forse te lo ricorderai per le campagne demenziali della Old Spice, che racconta delle molestie che ha subito e di come inizialmente sia stato ridicolizzato dai media americani per il controsenso che rappresentava. Sì esatto, un metro e novanta e 110 kg di muscoli non servono a renderti davvero più forte. Crews non si è arreso e ha portato il caso fino alla corte suprema. Si è aperto come mai un uomo del genere aveva mai fatto e da lui possiamo solo trarne esempio.
*
MLD: Un giorno ho trovato per caso un articolo che parlava della soppressione di Rai Movie e Rai Premium per far spazio un canale tutto al femminile e uno al maschile. Mi sono chiesta se alcune delle persone che lavorano in Rai si informano riguardo a quello che succede nel mondo e se fosse uno scherzo o una fake news. Non lo era. Mi sono immaginata un canale per maschi, dove probabilmente si parla di auto? Calcio? Sport estremi? E un canale che è una versione continuata del programma Detto Fatto dove si parla di buone maniera e si danno consigli di make up. Agghiacciante.