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Presentato a Linecheck, la principale music conference in Italia, lo scorso novembre a Milano da Vanessa Reed, una delle donne più influenti nel mondo della musica internazionale e CEO di New Music USA e già Presidente per undici anni della PRS Foundation, Keychange si auto-definisce un movimento pionieristico internazionale che vuole contribuire alla trasformazione della industria musicale incoraggiando l’assoluta parità di genere.

Il manifesto di Keychange parte dall’analisi di uno status quo decisamente sbilanciato a favore degli uomini, che oltre a guadagnare mediamente il 30% in più delle colleghe donne, rappresentano anche il  70% del totale degli artisti coinvolti in festival pop in USA e UE. Nel circuito globale di classica contemporanea, oltre l’80% dei compositori le cui opere vengono eseguite sono uomini.

Il movimento internazionale a supporto di Keychange, impone agli aderenti al programma l’impegno a colmare il gap di genere entro il 2022, puntando ad un deciso 50% di rappresentatività istituzionale, manageriale e artistica unendo partner attivi in tutti i contesti, dalla pop music alla musica classica, ai media.

Investendo in talenti emergenti Keychange incoraggia nel contempo festival musicali, orchestre, conservatori, emittenti, sale da concerto, agenti, etichette. Linecheck si è già impegna ad esempio a presentare un programma di conferenze in cui almeno la metà degli speaker coinvolti appartengano alle minoranze di genere e lo stesso farà sul lato artistico, includendo in line up almeno il 50% tra donne, gay e non-binary.

Il progetto ha un interessante aspetto operativo: attraverso lo scouting di personalità internazionali appartenenti a generi sotto-rappresentati nella industry si invitano festival, istituzioni, imprese a dare maggiore spazio al tema della uguaglianza in maniera concreta proprio attraverso un maggiore protagonismo di tali soggetti. In tre anni sono previsti 40 incontri sul tema in tutto il mondo.

La prima entusiastica adesione nel nostro Paese al progetto è stata quella di FIMI, Federazione dell’Industria Musicale Italiana. Per la quinta edizione di Linecheck, che si terrà tra il 19 ed il 24 novembre, sono stati immaginati panel sul tema dell’uguaglianza di genere, all’interno di un programma che ha quale tema portante la Diversity – un argomento ancora più ampio di quello su cui si focalizza Keychange.

Noi di Be Unsocial abbiamo fatto due chiacchiere con Anna Zo e Irene Romagnoli – Project Manager di Music Innovation Hub e di Linecheck Festival. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Musica e parità di genere: a che punto siamo?

Non si può certo dire che l’industria musicale non sia popolata da donne: sempre più figure femminili ricoprono ruoli in numerose organizzazioni nel music business, sempre più nomi di artiste occupano le line up di festival e music venue e sempre più associazioni e gruppi di lavoro si mobilitano per il raggiungimento della parità di genere (come mostrano gli esempi dell’associazione shesaid.so, che riunisce le operatrici del settore musicale, e Keychange, programma europeo promosso dalla PRS inglese volto al raggiungimento del 50/50 nelle organizzazioni musicali).

La vera sfida è proprio quella di far passare il messaggio che le donne ci sono e rappresentano spesso il cuore pulsante di diversi business musicali. Un maggiore riconoscimento di questa verità permetterebbe alle donne di raggiungere posizioni più ambiziose in termini di carriera e di assumere ruoli di rappresentanza in occasioni in cui spesso il settore musicale appare dominato da uomini.

Che cosa significa la parola musica per i giovani di oggi?

La musica significa aria: immaginare una vita senza musica sarebbe impossibile. La dimensione musicale ormai pervade ogni momento della nostra giornata, anche quando non ce ne accorgiamo. Questo fa sì che spesso, proprio come qualcosa di naturale, essa sia data per scontata.  

Quali sono i trend artistici più evidenti in questo momento?

La neoclassica,  la contaminazione etnica dell’elettronica,  il new jazz che sconfina nell’urban.

Piattaforme come Spotify fanno bene o fanno male alla musica?

È come chiedere: l’invenzione dell’automobile è stata un bene o un male per l’umanità? E quella dell’elettricità? Piattaforme come Spotify rappresentano la naturale evoluzione delle cose: che questo sia un bene o un male è difficile a dirsi. Come ogni industria, la musica è soggetta ad evoluzione, un’evoluzione particolarmente veloce e disruptive nel caso della music industry, ma comunque inevitabile.

Spotify ha permesso un accesso facile ed immediato ed un consumo spesso vorace di musica, a discapito forse di cura ed attenzione nell’ascolto. Per i consumatori seriali, Spotify ha rappresentato un sogno che si realizza; per un cultore della musica, forse, un appiattimento dell’offerta.

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