Stiamo vivendo una pandemia che da una parte ha congelato la nostra possibilità di movimento e dall’altra parte sta reimpostando i nostri valori. Tra allontanamento sociale e spesso anche familiare, severe restrizioni sugli spostamenti, comportamenti irrazionali che creano problemi logistici, disinformazione e accumulo di prodotti a lunga conservazione nelle nostre dispense, le preoccupazioni e l’incertezza sono all’ordine del giorno. Un nuovo assetto questo che – ridimensionando i nostri ultimi 25 anni di globalizzazione e interdipendenza – cerca di lasciar respirare, seppur con immensa fatica, le soluzioni nazionali e locali.
In questi giorni stiamo osservando con grande attenzione le conversazioni che avvengono sui social media. Non siamo interessati tanto a cosa si dice del Coronavirus, quanto a come si sta affrontando il soggiorno forzato a casa. Come abbiamo spiegato in passato, l’etnografia digitale è un metodo qualitativo delle scienze sociali, che non ha alcuna pretesa di rilevare un campione numericamente significativo. Al contrario, vuole raccogliere le ricorrenze di segnali deboli attraverso l’analisi umana degli small data, quelle piccole tracce che lasciamo tra post, commenti e foto condivise.
Anche la nostra challenge #25giorniacasa ci sta aiutando a capire meglio in che modo stiamo vivendo il periodo. Abbiamo così compilato un vero e proprio abbecedario dei cambiamenti social, sociali e digitali che stiamo percependo attraverso ciò che condividiamo in Rete. Vogliono essere spunti di riflessione collettivi, in un momento che vede i numeri continuare ad aumentare e le nostre strategie di reazione iniziare a frammentarsi.
A di animali
La restrizione ci sta imponendo una riflessione sui nostri bisogni primari, atavici, animali. Avere un tetto igienizzato sulla testa, proteggerci dai nemici senza mascherina, avere la caccia nel frigo. Se avete cani o gatti in casa, vedrete quanto iniziamo ad assomigliare a loro: mangiano, dormono, e sono felici anche delle piccole cose, come andare dietro a una pallina. E come loro, apprezziamo ancora di più la ritualità: dalla stesura del menu settimanale all’aperitivo su Skype con gli amici, dal caffè con la moka alla conferenza della Protezione Civile delle 18.
B di balconi
I cuori e le anime delle città italiane sono state smantellate, anche quella di Milano che non si ferma. Le normative sul distanziamento sociale ci impongono di assistere a questo spettacolo dal nostro balcone o dalla nostra finestra, i nostri unici affacci su un mondo che è diventato improvvisamente più rilassato. Ci meravigliamo dell’aria pulita, dei cieli tersi, del silenzio interrotto dalle campane delle chiese vicine. A volte, si sentono anche gli uccellini cantare. Come scrivevamo tempo fa, un giorno diremo che il Coronavirus ha fatto anche cose buone.
C di consumo
Stando a casa, abbiamo meno bisogno di comprare cose: una decrescita di consumi imposta innanzitutto dal nostro buon senso. Il tagliere si sta rovinando? Ci teniamo quello, amen. Ho finito il fondotinta? Su Skype non si noterà la differenza. I primi giorni abbiamo fatto svariate spese sugli e-commerce, ora ne facciamo sempre meno, e sempre più oculate. Anche per un discorso logistico e di rispetto. Quando riapriranno i negozi, le vetrine saranno ancora invernali, ma intanto sarà già cambiata (almeno) una stagione, e noi saremo profondamente diversi.
D di democrazia
Il virus è democratico, ma fino alla curva. Colpisce senza guardare il conto in banca, ma è indubbio che ci sono persone più fortunate e altre meno. Teniamolo presente quando guardiamo in cagnesco chi passa sotto casa nostra, non partiamo dal presupposto che sia un giovane fuorilegge o un anziano ostinato, diamo il beneficio del dubbio. Ci sono situazioni inimmaginabili: solitudine, assenza di rete familiare, conviventi violenti, dipendenze, appartamenti angusti. Bisogna stare a casa, ma bisogna anche ricordarci di essere umani.
E di Europa
È un po’ come in quelle relazioni sentimentali malate: abbiamo il forte sospetto (e più di un indizio) che il nostro partner ci sta tradendo, ma sopportiamo, allontaniamo l’idea e facciamo finta di niente finché non lo becchiamo in flagranza di reato. Con l’Europa è andata allo stesso modo; potevamo immaginare che non si trattasse di una relazione pienamente equilibrata, ma solo adesso, nel momento del bisogno, abbiamo visto la realtà dei fatti. Una volta finita la tempesta, starà ai Governi di ciascun Paese capire se perdonare o dirsi addio definitivamente.
F di filtro
Ci stiamo abituando al brutto: le foto di Instagram non sono più così luccicanti, i nostri outfit sono inevitabilmente peggiorati, i video degli ospiti in televisione si vedono e sentono male. Sarà perché mancano i soggetti, sarà perché non abbiamo più voglia di mettere filtri nella rappresentazione della nostra quotidianità. Siamo diventati più autentici, anche perché non sgomitiamo per mostrare una vita patinata. Erano mesi che anche i brand si stavano chiedendo come parlare in modo autentico, ed eccoci qui, con un’estetica social rivoluzionata.
G di Greta
Aveva ragione la ragazzina, dovevamo fermarci prima. Essere più etici, sostenibili, attenti ai nostri consumi. Non sono poche le ricerche che negli ultimi giorni ci raccontano come l’inquinamento abbia favorito la diffusione del virus, o che non sia un caso se i focolai siano nati in corrispondenza dei territori altamente industrializzati. Complotto o meno, c’è da auspicarsi che anche la nostra relazione con la natura cambierà, per non ritrovarci a dover fronteggiare nuovi microscopici mostri. Greta intanto da Facebook si fa viva, ma con molta meno potenza.
H di hic (et nunc)
Il Dalai Lama lo dice da sempre, “ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani”. Dunque, benvenuto qui e ora per tutti. Ecco la novità: non possiamo controllare più nulla. Sì, possiamo riprogrammare eventi e incontri nell’autunno, ma stiamo interiorizzando che niente è certo. E se fossimo ancora in questa situazione? E se scoppiasse un nuovo focolaio? Ci stiamo abituando a perdere il controllo, e dopo un po’ di smarrimento, forse impareremo che non è sempre così necessario. Serve tanta flessibilità.
I di insieme
Tutto il mondo è paese, non siamo indisciplinati solo noi italiani: ce l’hanno confermato anche i parigini, con la grande fuga dopo la dichiarazione di guerra di Macron, o gli americani con l’assalto ai supermercati (e sì, anche ai negozi di armi). È l’essere umano, e i sentimenti condivisi sono gli stessi: sconforto, paura, tristezza e un po’ di rabbia. Oscilliamo tra diverse tensioni umorali, ma con una certezza: siamo tutti sulla stessa barca, anche quelli che cercano ancora di fare i furbetti. Questo fenomeno lo stiamo vivendo insieme. Mal comune mezzo gaudio, no?
L di lavoro
Meno riunioni lunghissime e superflue, meno baci e abbracci con i colleghi, meno tensioni da assorbire tra una scrivania e l’altra: i vantaggi del lavorare da casa sono innumerevoli, a patto di non avere bambini da seguire. Ci sono poi tematiche molto analogiche collegate all’uso della Rete; ad esempio quella che un gruppo di lavoro va motivato e unito ancora di più se lavora da remoto. Stesso discorso vale per la scuola digitale, stupendo se in casa c’è un dispositivo per studente e un’eccellente connessione a internet, ma non è per tutti così.
M di marchi
I brand stanno tentando di elaborare piani di emergenza che mettano consumatori e dipendenti in primo piano, rispetto ai meri profitti. Nel bel mezzo dell’epidemia, i marchi devono cogliere l’occasione per fare del bene (ascoltate gli interventi di Mazza nella rubrica DiLunedì, Radio Popolare). Il real marketing sui social non può pensare di approfittarsi della situazione; le persone un domani premieranno le aziende che oggi si stanno rimboccando le maniche per dare un aiuto concreto. Veneziani qui ha fatto una lista interessante di letture sull’argomento.
N di noia
Molte persone stanno imparando che non è così vero che ci si annoia se si rallenta il ritmo. Più semplicemente, si fanno meno cose e si fanno meglio. Che si lavori da casa o che si sia costretti a interrompere la propria attività, la sfida più grande è individuale e non rimandabile: imparare a stare a proprio agio con sé stessi. A volte, non è così male, altre volte può risultare insopportabile, lo sappiamo. In ogni caso, è un’opportunità gigantesca per conoscerci più a fondo, senza poter affollare le nostre vite di appuntamenti per fuggire dai nostri vuoti.
O di orgoglio
Dobbiamo imparare a essere fieri, a non sottovalutarci e a non sminuirci, ad amarci – anche con tutti i nostri difetti. Come persone sì, ma anche come collettività. Si parla tanto di sentirsi bene nel proprio corpo, di accettare le imperfezioni; iniziamo a farlo anche come italiani. Basta sentirsi Cenerentola d’Europa e del mondo, guardiamo a testa alta cosa siamo e cosa sappiamo dimostrare soprattutto quando le cose sono un disastro. Basta dare un’occhiata in Rete per vedere la bellezza che sappiamo condividere; gesta di Fedez e Ferragni comprese.
P di priorità
Vi siete chiesti quale sarà la prima cosa che farete una volta terminato tutto? Quali sono le vostre priorità? Riabbracciare un famigliare lontano, recuperare la vostra festa di compleanno con gli amici, fare una lunga passeggiata in città per riappropriarvi di strade e piazze: ognuno di noi conosce la risposta. Metteremo in un diverso ordine le priorità di una volta, e ci penseremo due volte prima di dire troppi sì o troppi no. Stiamo capendo che cosa è davvero necessario per stare bene, e non permetteremo più di far entrare troppo stress nel quotidiano.
Q di quarantena
The Atlantic ci ricorda che Shakespeare, durante la quarantena per l’esplosione della peste, ha scritto Re Lear, Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia. Insomma, mica cose da poco. E allora, in molti stanno cogliendo l’occasione per tirar fuori quel manoscritto incompiuto, quel progetto creativo rimasto sempre e solo nel cassetto, quel corso di inglese mai iniziato. Finalmente stiamo trovando il tempo di fare qualcosa che abbiamo sempre rimandato, perché “ho l’agenda incasinata”. Non sprechiamo questi giorni difficili, ce lo dice anche Papa Francesco.
R di resistenza
Il 4 marzo abbiamo lanciato sulle pagine di Be Unsocial i primi contenuti di #resistenzaculturale da consumare rigorosamente sui dispositivi digitali, per rendere meno sfiancante la costrizione a casa. Stiamo prendendo atto che queste settimane sono come una lunga maratona, una vera e propria gara di resistenza. Non occorre affannarsi, dunque. Come dicono gli sportivi, la maratona inizia dopo il trentesimo chilometro. Fisiologicamente (e psicologicamente) parlando, la crisi arriva tra il chilometro 32 e 35: accettate di essere stanchi ogni tanto.
S di solidarietà
Provate a guardare quello che sta accadendo sul digitale in Italia dall’alto: persone che condividono risorse, professionisti che mettono a disposizione lezioni, case editrici che regalano libri, archivi e biblioteche che spalancano finalmente le loro porte, come nel caso di Unesco. Anche la solidarietà culturale è velocissima nel contagio. Stiamo imparando che cosa significa comunicare, ovvero “mettere in comune”, che sia un film o la ricetta salva dispensa. Oppure donazioni destinate al sostegno della sanità, come dimostra la lista di Iabichino.
T di turismo
Parliamoci chiaro: chissà per quanto non potremmo più viaggiare. Mentre Italo continua a mandarci offerte via mail, dobbiamo farcene una ragione. Pianificheremo più viaggi in Italia, che abbiamo sempre dato per scontato. Sarà durissima per gli operatori del settore, ma avranno l’occasione di lavorare su nuovi immaginari per viaggiatori. E forse aumenterà il slow travel e il #flygskam – la vergogna di prendere un aereo, e allo stesso tempo l’orgoglio di prendersi del tempo per sé e la consapevolezza di ridurre la propria impronta di carbonio.
U di umanesimo
Ci sarà da ricostruire tutto, dopo. Si dovranno riequilibrare le relazioni tra le persone e le attività commerciali e culturali, tra l’online e il territorio. L’antropologia digitale, lo diciamo ancora una volta, potrà essere una chiave. Ecco perché i brand oggi dovrebbero portarsi avanti e andare a scovare soprattutto esperti di semiotica, etnografia digitale, strategia culturale e tecniche del linguaggio visivo, per imparare a relazionarsi con più significato e pertinenza. Come ricordano i nostri amici partner di Pensiero Visibile, servono meno algoritmi, e più storie autentiche.
V di vaccino
Che fino hanno fatto i no-vax? Davvero, se esistesse un vaccino contro il Coronavirus, non lo accetterebbero con la stessa cieca presunzione di prima? C’è un ritorno alla mediazione degli esperti; anche se ci sono ancora tanti virologi laureati su Google, l’approssimazione sta diminuendo. Oggi crediamo più di ieri alla scienza, alla medicina, ai dottori. Se iniziamo a tossire e ad avere la febbre, oggi vogliamo il tampone, non la risposta di un motore di ricerca o di un gruppo Facebook abitato da sconosciuti. Vogliamo qualcuno che abbia studiato.
Z di zero
Il 2020 inizierà davvero quando sarà tutto finito. Festeggeremo, e ci abbracceremo, come è stato promesso alle bimbe di Conte. Magari inaugureremo anche un’agenda nuova, per segnare il prima Coronavirus e il dopo Coronavirus. Potremmo già adesso stilare la lista dei nostri buoni propositi: andare a correre, mangiare meglio, incontrare di più gli amici.
Nel frattempo, Keep Calm and Be Unsocial.
Bonus extra da Il Post: Come restare mentalmente sani durante la quarantena. Un po’ di consigli e numeri utili per tenere a bada ansia e solitudine, e non restare un mese in pigiama.