Un tempo gli esperti venivano considerati simboli di autorità e rispetto, ma oggi vengono oscurati (e a volte messi in discussione) da influencer e da chi si sente di dare la propria opinione personale su qualsiasi argomento, per una auto-gratificazione istantanea. Da qualche anno siamo entrati nell’epoca degli esperti autoproclamati: ma come è successo?
Quest’anno il termine deepfake è entrato nella lista dei più importanti dizionari di Collins Dictionaries, solo due anni dopo che fake news è stata scelta come la loro parola più importante. Tre anni prima, Oxford Dictionaries aveva annunciato invece post-truth come parola internazionale dell’anno, a seguito di un aumento nel suo utilizzo del 2000%. Sono indizi importanti, questi, perché indipendentemente dal livello di conoscenza dei media e della politica, le persone stanno diventando più critiche nei confronti delle informazioni cheintercettano da figure di autorità comprovata con conoscenze avanzate in una particolare materia. Gli esperti, insomma, sono sempre più messi in discussione.
Come principale conseguenza di questa sfiducia, le persone cercano online le informazioni che ritengono di non poter più ottenere dagli specialisti, con tanto di autodiagnosi in Rete. Questo desiderio di una corsia preferenziale per avere informazioni specialistiche sta anche normalizzando le scorciatoie per la conoscenza, dai corsi di formazione per insegnanti di yoga di una settimana appena – dove ci si aspetterebbe invece studi approfonditi sull’anatomia, almeno – alle certificazioni ottenute in un weekend. Tom Nichols, professore al U.S. Naval War College e alla Harvard Extension School, ne parla nel suo libro The Death of Expertise (tradotto in italiano con La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, Luiss University Press): oggi viviamo un clima di egualitarismo intellettuale in cui ogni opinione deve essere accettata come uguale a quella di chiunque altro.
Quando un giornalista ha deciso di aprire un falso account di poesie su Instagram e di fare tutto il possibile per rendere queste poesie cattivissime, è rimasto sconcertato dalla quantità di commenti positivi e di follower, sollevando il dibattito sul gusto personale rispetto al discernimento poetico in questo caso. È uno dei tanti esempi che ci dimostrano come molte persone sentano fortemente l’esigenza di avere piena autonomia della loro opinione anche se non hanno alcuno studio o approfondimento reale per capire ciò che stanno dicendo. Ecco dunque parte del motivo per cui abbiamo così tanti opinionisti su politica pubblica e affari esteri, per esempio, ma anche sui terremoti e sull’aviazione civile in caso di disatro.
Nel 1943, lo psicologo americano Abraham Maslow stabilì una gerarchia dei bisogni umani, dove identificò i bisogni del corpo e di sicurezza come le due priorità umane principali: dalle forze di polizia al servizio medico, le persone si sono da sempre affidate alle istituzioni tradizionali per soddisfarli. Tuttavia, uno studio molto completo di Edelman ha rivelato dati sconcertanti sulla fiducia: quasi la metà delle persone non si fida del governo o dei media.
È proprio quando i cittadini non si fidano più dei leader che dovrebbero garantire la loro salute e la loro sicurezza, che hanno maggiori probabilità di cercare nuove fonti di informazioni per cercare di riguadagnare un senso di controllo sulla propria vita. Non per niente il 65% delle persone afferma di fidarsi maggiormente dei motori di ricerca quando cerca notizie.
A causa della necessità di controllo del proprio ambiente, molte persone rifiutano i consigli degli altri esseri umani e si rivolgono invece agli algoritmi per sentirsi rassicurati. Uno studio del Pew Internet & American Life Project ha mostrato che l’80% degli utenti di Internet ha cercato online un argomento relativo alla salute, come conseguenza di una sfiducia crescente nei confronti dei medici.
Gli influencer del benessere – nonostante l’assenza di una preparazione medica – condividono suggerimenti su tutto, dalle ricette per curare il cancro a modelli alimentari senza basei scientifiche. Ma con oltre 66 milioni di profili falsi esistenti sul solo Facebook, le informazioni che si trovano online non sempre hanno una garanzia di accuratezza, perpetuando così il ciclo di statistiche non verificate e la mancanza di fatti affidabili per una decisione informata.
Dunque, se da una parte ci sono alcune persone che si allontanano dalle tradizionali figure autorevoli come meccanismo di sopravvivenza, altre invece sono guidate dalla paura sociale. In generale, sembra che esista un senso di insicurezza. E nell’era digitale, la competenza è spesso definita proprio dal possesso di informazioni.
E il possesso di informazioni come status symbol è chiaramente dimostrato dal modo in cui gli individui utilizzino sempre più il capitale culturale, piuttosto che i beni materiali, per segnalare la propria posizione nella società. In particolare, gli uomini sono particolarmente sensibili e sopraffatti dal numero di email che ricevono: l’elaborazione delle informazioni è davvero una sfida quotidiana per molti. Più in generale, le persone si sentono sotto pressione per apparire informate in tutti i settori, e dunque si sentono poi in diritto di essere trattate come se avessero quelle date competenze. Una combinazione di arroganza e insicurezza letale.
Ma non solo. L’incomprensione del ruolo fondamentale degli esperti nella società può anche essere ricondotta alla cultura della gratificazione istantanea. Con l’illusione di avere tutta la saggezza del mondo disponibile con un clic o un tap, Internet ha democratizzato le informazioni e l’apprendimento; come racconta Think with Google, prendendo anche solo YouTube, l’80% degli Z afferma di usare la piattaforma per imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, questo rapido accesso alle conoscenze comporta il rischio che le persone non credano più che ci voglia tempo per acquisire le conoscenze e le competenze. Più in generale, è il clima di immediatezza di oggi che crea spesso l’illusione che tutto, non importa quanto complesso, sia semplice – anche pilotare un aereo.
Secondo gli esperti, anche le generazioni più giovani potrebbero avere difficoltà ad accettare il concetto di competenza, perché sono state educate per essere “inclusive“, mentre la competenza per sua natura è “esclusiva” (di chi studia, di chi approfondisce, e così via). È un misunderstanding che porta a pensare che la conoscenza autorevole è un po’ come un elitarismo – culturale – non democratico. Ma lo sappiamo, è una lettura davvero sciocca.
Infine, anche i brand si trovano ad affrontare questo scetticismo da parte dei consumatori. In tale clima, i marchi possono mantenere la fedeltà dei clienti costruendo solide relazioni che hanno come base valori reali e autentici. In un momento in cui le informazioni hanno un valore monetario, inoltre, i marchi hanno anche l’opportunità di soddisfare i loro consumatori affamati di informazioni condividendo gli ingredienti dei prodotti, la storia dell’azienda o le notizie del settore e diventare fornitori affidabili di contenuti. Un’opportunità da cogliere ora perché – c’è da aspettarselo – l’ossessione per le informazioni non durerà per sempre.