Il nostro ciclo di interviste oggi vi presenta Michele Boroni, content creator per pubblicazioni, brand, festival, tv, radio e persone. Attualmente collabora con Ogilvy, Omnicom Media Group, Nextatlas, IF! Italians Festival – e tra le testate Wired, Elle Decor (dove sono apparsi alcuni dei nostri articoli preferiti, e capirete perché), SAPIENS, Il Messaggero, Il Foglio, Rai, Rockol e Style – Corriere della Sera. Con lui abbiamo provato a indagare cosa significa oggi fare ricerca online per trovare frammenti del nostro mondo di umani sul digitale da raccontare. Buona lettura!
La Rete è un punto panoramico eccezionale su noi esseri umani, sulle nostre passioni e sulle nostre stranezze. Da dove parti quando devi esplorare un argomento per fare poi un pezzo o content curation, come ti muovi, come conduci ricerche?
In realtà per me non esiste un schema preciso e ricorrente, specialmente per quanto riguarda lo spunto iniziale. Gli insight possono arrivare davvero dappertutto: parlando con la gente, facendo un giro in città, leggendo un articolo, guardando un documentario o una serie tv, girovagando sui social, lasciando scorrere l’autoplay di YouTube. Quel che succede dopo invece è abbastanza codificato e il perimetro rimane sempre quello della classica ricerca in Rete.
Ultimamente sono molto più affascinato dalle immagini piuttosto che dalle parole. Trovo che in giro ci sia un sacco di creatività nuova, fino ad ora inespressa, nel raccontare situazioni, opinioni e nuovi approcci verso l’esterno, qualcosa che le arti visive del Novecento non hanno espresso pienamente, quantomeno non a livello così mainstream. Quindi ultimamente navigo molto su Instagram, Pinterest e in quel mondo ancora disordinato dei meme.
Che cosa significa oggi occuparsi di contenuti digitali? Quali sono le skill che servono per fare bene questo lavoro?
Sono stato un vecchio blogger – il blog si chiamava “EmmeBi, un blog leggero” nato nel 2002 – e quella in fondo è stata la mia formazione sulla Rete. Ciò che mi faceva muovere è più o meno lo stesso che anima il mio lavoro oggi: curiosità, voglia di condividere, costruire una propria comunità di riferimento, ma cercare di vivere anche quelle lontane o che la pensano diversamente, riconoscere le “tensioni culturali” e aver voglia di approfondirle e discuterne. Poi ovviamente dipende da chi è il committente, perché per quanto il contenuto oggi sia un elemento comune e in certi casi strategico, c’è ancora una grande differenza tra un brand, una testata giornalistica, un festival o una persona.
L’altro elemento importante per me è quello di mescolare linguaggi e codici: mi piace essere divulgativo ma anche leggero. Quando serve mi piace utilizzare un linguaggio tecnico, ma con l’obiettivo di renderlo fruibile e comprensibile anche per i non addetti ai lavori.
Quali sono gli aspetti della Rete e dei comportamenti che noi abbiamo sul digitale che trovi più affascinanti?
Sono affezionato al termine “abitare la rete”, che in fondo significa non solo frequentarla assiduamente in tutte le sue forme, ma condividerne i valori e la cultura, in termini di trasparenza, responsabilità, sincerità, ma anche “vicinanza” e quindi condivisione. Continuo a trovarli non solo molto affascinanti, ma anche efficaci e “vincenti”: quando un’azienda, un social media manager, un organizzazione non-profit, un politico o una celebrity riescono a mettere in pratica questi valori la differenza si vede, e questo permette di creare una sorta di circolo virtuoso che secondo me fa bene a tutti. Purtroppo la grande parte degli utenti internet si comporta diversamente.
Tuttavia anche se nella stragrande maggioranza l’output è quello digitale, mi piace sempre molto ragionare in termini di comportamenti – e quindi di passioni e interessi – onlife, perché è così che ragionano le nuove generazioni, senza troppe linee di confine ma con grande fluidità tra vita digitale e quella del quotidiano. Ecco, trovo molto affascinante le corrispondenze dei comportamenti online nella vita reale, ma non perché siano bizzarri, ma perché costruiscono un nuovo paradigma per il futuro.
In che modo sono cambiati i media da quando tu hai iniziato a lavorare?
Ho iniziato a lavorare in un mondo pre-internet. In quel caso non scrivevo, ma mi occupavo di marketing, prima di largo consumo e poi di eventi musicali per brand. Poi con l’arrivo del world wide web, dei portali e poi dei primi blog ho iniziato anche a lavorarci. Ho visto la nascita di Google, Youtube e i vari social network. È evidente che i cambiamenti sono stati tanti ed è anche un po’ scontato che enumeri le varie evoluzioni nei vari lustri. Per quanto riguarda gli old media, sono più che altro interessato alle evoluzioni-fusioni tra i vari mezzi, quindi osservo da vicino i podcast, gli smartcast e la tv non lineare. Internet non l’ho mai considerato come un media, ma come un ambiente, un tempo abilitativo e democratico, ma che oggi è sempre meno così.
E infine, che ruolo devono iniziare ad assumere oggi i brand sul digitale per avvicinarsi di più alle persone?
Qui il discorso sarebbe molto lungo e articolato. In generale credo che in un clima caratterizzato dall’attenzione parziale continua, la grande sfida per i brand, ma un po’ per tutti, sarà quello di presidiare il mercato dell’attenzione. Per farlo è necessario proporre contenuti rilevanti e risonanti che garantiscano la conoscenza di un contesto, in cui le persone possano rispecchiarsi e che quindi vale la pena condividere. Un altro elemento che ritengo sempre più fondamentale è quello del rispetto e della responsabilità e questo ovviamente riguarda una sfera più ampia e sullo stare nel mercato e che quindi deve farsi carico di un sistema di valori che riguardano la sostenibilità, la dignità personale e l’empatia relazionale.