Che anno, questo 2020.
Continuiamo a dircelo un po’ tutti sui social media, per strada, al telefono. Però non tutto è da buttare, anzi: qualche traccia buona l’ha solcata per quello che verrà da qui ai prossimi mesi, in tutti i settori. Nelle ultime settimane abbiamo lavorato sulle ricerche e gli studi più interessanti, trasformandoli in proiezioni sul futuro.
Ecco la prima parte, su bellezza, cittadinanza, finanza, lusso e viaggi.
[update: qui la seconda]
Buona lettura.
Bellezza
Da performance a rito personale
I saloni di bellezza costretti a chiudere svariate volte, i tester in negozio che hanno iniziato a rappresentare un rischio per la salute, le vendite di trucchi precipitate: l’emergenza sanitaria ha riscritto le abitudini di bellezza. La quarantena ha trasformato il prendersi cura di sé come “performance” da mostrare online, in un porto sicuro e protetto da rituali di bellezza. Da Glossier che ha ospitato lezioni di bellezza via Zoom alle meditazioni sotto la doccia di Skintimate, i brand sono stati costretti a ripensarsi. Cosa possiamo aspettarci per i prossimi mesi? Probabilmente, una fioritura dell’economia della bellezza fai-da-te a casa, con la lenta e inesorabile sostituzione degli influencer classici con fan dei brand testimonial più quotidiani.
Il nuovo ruolo di chi influenza
Se questo 2020, soprattutto durante il primo lockdown, ha visto i consumatori diventare i driver di molti prodotti di bellezza, entrando nel 2021 possiamo aspettarci un cambio di passo. Le persone sono molto più consapevoli del significato di bellezza e di come funziona l’industria, sono più attenti ed esigenti. E infatti, pian piano, i marchi stanno ponendo maggiore enfasi sull’attrazione dei consumatori rispetto alla loro filosofia aziendale. Non solo: stiamo anche vedendo sempre più fondatori che pongono sé stessi e la loro storia in prima linea nella narrazione del loro marchio, proprio per rimarcare una crescente trasparenza nei confronti di chi sta dall’altra parte dello schermo. Negli Stati Uniti, ciò è diventato particolarmente chiaro a giugno con il movimento Black Lives Matter, un enorme motore di cambiamento per molti brand di proprietà nera che hanno potuto imbastire nuove narrative.
Se c’è una cosa che non morirà mai nel marketing è il passaparola, trasformando i fan di tutti i giorni in ambasciatori del marchio e creatori di tendenze. In questo, i brand indipendenti (e più piccoli) stanno avendo la meglio attraverso i social media. Di reazione, i big brand dovranno diventare molto più creativi e sul pezzo. I consumatori sono più istruiti che mai, leggono attentamente gli ingredienti e si informano su come un prodotto avrà un impatto sul loro benessere. In particolare, stiamo assistendo a un crescente interesse nei confronti dei disturbi della pelle, che diventano territorio di narrazione dei brand, e non solo dei medici.
L’attenzione agli ingredienti e ai sensi
Da qualche tempo alcune aziende stanno sperimentando nuovi approcci di coinvolgimento. Per esempio, The Inkey List ha lanciato un servizio di messaggistica online per i clienti in cui possono porre domande specifiche, con tanto di esperti che rispondono con consigli imparziali e non commerciali su prodotti e ingredienti. Il collettivo di hairstylist Josh Wood, invece, ha iniziato a offrire consulenze video gratuite ai clienti. In fondo, lo diciamo sempre qui, il digitale richiede innanzitutto dialogo.
Il 2021 vedrà una maggiore attenzione alla piacevole sensazione di bellezza, quell’inspiegabile botta di dopamina che otteniamo grazie a un tal prodotto. Durante i periodi di quarantena, il prendersi cura di sé, senza lasciarsi andare all’abbruttimento da divano, è stato una stampella emotiva. I nostri bagni si sono trasformati in santuari, e anche se la quantità di tempo che si dedica al trucco è diminuita, c’è chi investe molto di più nella cura della pelle e del corpo. C’è dunque bisogno di prodotti che siano piacevoli da usare, da toccare, annusare. Il potere dell’aromaterapia sarà ancora più rilevante in futuro. Più in generale, a seguito della pandemia, ci sarà un maggiore desiderio di pulizia: potremmo vedere nuove interessanti narrazioni che dovranno bilanciare igiene e naturalezza, mescolando bellezza e scienza.
La ricerca di una bellezza pulita
In fondo, il vero punto di svolta è proprio attorno al concetto di un’esperienza di bellezza “pulita”, con confezioni e materiali autopulenti; Cosmogen ha già rilasciato un set di pennelli a contatto sicuro e una spugnetta per il trucco antibatterica. Il Covid-19 ha fatto poi scendere in campo anche aziende che fino a questo momento non c’entravano nulla con il settore del beauty. Dyson, ad esempio, celebre più che altro per i suoi aspirapolvere, ha ampliato la sua gamma sulla bellezza, con il rilascio della piastra Corrale e dello styler Airwrap che offre cure professionali per capelli a casa. È un chiaro esempio di come non per forza deve essere un marchio di bellezza a innovare il settore e questa è una tendenza interessante da tenere d’occhio nell’anno a venire. E non per forza ci si deve muovere su canali tradizionali di comunicazione digitale. In questo senso, i filtri di bellezza e la realtà aumentata avranno un ruolo fondamentale nel plasmare l’esperienza. Per diene una, L’Oréal Paris ha debuttato con la sua prima linea di make-up esclusivamente virtuale, da scaricare sul proprio smartphone.
Cittadinanza
Prendere posizione
Se all’inizio del 2020, nelle aziende le parole “responsabilità sociale” stavano iniziando a prendere piede rispetto alle varie tensioni nell’aria, tutto ha subito una forte accelerazione. Prima gli incendi australiani, poi la scoperta del virus, e ancora gli scontri legati al razzismo sistemico, e la campagna elettorare americana: tutti eventi che hanno portato frustrazione, incertezza, rabbia, e polarizzazione delle posizioni. E così, i cittadini hanno iniziato a pretendere una presa di posizione anche da parte dei brand. Dalla campagna antirazzista Pull Up or Shut Up alla piattaforma Did They Help? sono stati fatti parecchi sforzi. Ci si aspetta dunque sempre di più che i marchi affrontino le questioni sistemiche, e le crisi sanitarie e ambientali in corso.
Dai motti alle azioni
Se “Black Lives Matter” o “We stand with women” nel 2020 sono stati simboli dei valori da sostenere, il 2021 chiederà soprattutto di passare ad azioni concrete. Le persone hanno già iniziato a chiedere alle aziende come sono le loro strutture interne, come si relazionano con i dipendenti e i fornitori, e come tutto questo si sposa con i motti che hanno deciso di sostenere. Costruire una relazione coerente consente ai brand di avere una strategia di comunicazione molto più naturale, utile ed efficace a lungo termine. Più andremo avanti, e più vedremo normalizzarsi questa tendenza. I brand dovranno imparare a chiedersi: “Come rispondiamo alle persone su questo tema sociale?” La cosa più intelligente che un’azienda può fare è mostrare perché e come sono cambiati. Il come e il perché sono fondamentali per costruire (e mantenere) la fiducia su temi importanti che dobbiamo affrontare collettivamente.
Molto di queste aspettative moderne ha a che fare con gli anni Sessanta, quando le preoccupazioni del pubblico si consolidarono su importanti movimenti sociali: diritti civili, ambiente e femminismo. Queste tensioni erano fortemente interconnesse, e le persone facevano pressioni proprio sulle imprese. Negli anni Settanta, quando si iniziò a parlare di responsabilità sociale d’impresa, queste richieste pubbliche iniziarono ad evolversi in requisiti legali. Una delle più recenti evoluzioni della responsabilità sociale delle imprese è il “cause branding“, un impegno a lungo termine rispetto al marketing basato proprie sulle cause e collegato direttamente alla linea di business di un’azienda – dunque un’affiliazione permanente tra una causa e un brand.
La coerenza, innanzitutto
I marchi non hanno più scelta perché viviamo in un mondo in cui molto, grazie al digitale, è alla luce del sole; i consumatori non dimenticheranno come si sono comportati durante quest’anno. Se un’azienda dichiara di essere etica, significa che questo si riversa ad esempio anche sui lavoratori, e su come si prende cura di loro. Grazie ai social, per le persone è molto più semplice alzare la voce. Se una volta i brand non avevano la possibilità di chiedere cosa volessero i consumatori, oggi non solo ce l’hanno, ma devono attrezzarsi per mettersi davvero in ascolto, non solo a parole. Adesso è un dialogo, una relazione multilaterale.
Anche i brand devono scegliere
C’è stato un tempo in cui spettava solo alle persone fare le scelte giuste. Oggi, benché l’azione individuale conti, questo viene chiesto (anche) ai brand. È una sinergia, tra consumatori, aziende e società civile. A tal proposito, interessante lo studio You Matter More Than You Think, che esamina l’interscambio tra le azioni individuali e le loro implicazioni più ampie. Altrettanto utile è il sito Count Us In, che parte dall’idea che ciascuno di noi può prendere un piccolo impegno, come ad esempio rinunciare alla carne un tal giorno della settimana, oppure impegnarsi a non acquistare fast fashion per una stagione. Insomma, è chiaro come il 2021 vedrà un incremento dell’attivismo politico e sociale. La causa ambientale sarà ancora quella più sentita, e non è solo una questione di plastica. Occorrerà guardare ai temi più trasversali, dalla salvaguardia della biodiversità alla catena di approvvigionamento.
Finanza
La grande crisi e il divario finanziario
Nel 2020, il consumismo eccessivo si è arenato. L’emergenza sanitaria ha costretto le persone a rintanarsi a casa per mesi, rinunciando a spese extra come i viaggi e obbligandole a fare i conti con la peggiore recessione dalla Grande Depressione, con l’economia globale destinata a contrarsi del 3%. L’instabilità economica e sociale di questo ormai concluso 2020 ha trasformato i comportamenti di ciascuno di noi, nonché la pianificazione finanziaria. Senza poi contare quanto la disparità di reddito sia peggiorata, con le minoranze e le comunità vulnerabili che subiscono il peso maggiore degli impatti di questo crollo. Nel 2021, la consapevolezza finanziaria è destinata a raggiungere nuovi picchi di interesse, soprattutto per le donne, che sempre di più prendono il controllo sui propri soldi. Inoltre, il contraccolpo economico ci sta conducendo verso transazioni totalmente prive di contanti.
Meno materialismo, più minimalismo
A fronte di un maggior bisogno di acquisire consapevolezza, c’è da pensare che le persone risparmieranno di più, spenderanno di meno (nelle cose futili) e penseranno più intensamente ai propri investimenti. La preoccupazione per ciò che accadrà dopo influisce sul nostro atteggiamento nei confronti del futuro e del nostro denaro. L’anno prossimo vedremo disparità di ricchezza ancora maggiori: chi poteva permettersi di spendere, ha speso e continuerà a farlo; al contrario, chi ha perso il lavoro o non ha più registrato entrate, farà fatica a rialzarsi. Vedremo un aumento di giovani più consapevoli dal punto di vista finanziario.
Se in passato molto si basava sul materialismo e sul possesso, oggi stiamo andando verso il minimalismo, ovvero l’avere il minor numero di cose possibile, utili e durature. È qui che entra in gioco l’economia della condivisione: una decina di anni fa, non potevamo immaginarci di noleggiare vestiti e poi restituirli, o addirittura condividere l’auto di uno sconosciuto. E laddove le banche tradizionali si sono storicamente dimostrate lente a cambiare – lavorando attraverso regolamenti e burocrazia interna pachidermica – il fintech è veloce, agile e veloce nel risolvere problemi di nicchia per i consumatori. Le persone hanno una persistente sfiducia nei sistemi bancari che è rimasta dalla crisi finanziaria del 2008, dunque c’è una maggiore aspettativa dei consumatori che le banche siano ancora più consapevoli e reattive. Umane.
Il tema della responsabilità sociale
A proposito di finanza, saranno parecchie le persone a tener conto degli impatti sociali e ambientali delle imprese con capitale pubblico oppure obbligazioni: vorranno capire in che modo i loro investimenti sono correlati alla disuguaglianza, alla giustizia sociale e all’impatto ambientale, vorranno selezionare gli investimenti sulla base di queste opzioni. Ciò è in parte determinato dal fatto che le persone sono sempre più informate riguardo gli impatti delle loro scelte finanziarie; si preoccupano dell’equità, fino al punto di essere disposte a sacrificare qualcosa per garantire una più equa distribuzione delle risorse per gli altri. Succede perché, una volta che le persone smettono di preoccuparsi di soddisfare i bisogni di base, possono iniziare a preoccuparsi di più del loro ambiente, sia naturale che sociale. Molte persone sono interessate a fondi verdi socialmente responsabili e rispettosi dell’ambiente, e i numeri stanno aumentando su entrambe le sponde dell’oceano, dagli Stati Uniti alla Germania.
L’automatizzazione dei processi
Un altro cambiamento nel 2021 riguarderà, anche in questo settore, big data e intelligenze artificiali che continueranno a consentire l’automazione e l’integrazione ad ampio raggio dei servizi finanziari, dalle semplici attività bancarie al credito al consumo, mutui, servizi di intermediazione e assicurazioni. Esistono già advisor-robot come WealthFront e Betterment che utilizzano già algoritmi per aiutare le persone a gestire in modo efficiente i propri portafogli di risparmio e investimento. Il che, in ogni caso, non significa che il “tocco umano” sparirà a breve. Potremmo registrare un’automazione simile anche con le carte di credito, e perché no, potrebbe essere anche che la carta di credito scompaia completamente prima o poi.
Il rovescio della medaglia sui pagamenti digitali è che, essendo tutto così fluido e semplice, diventa più difficile gestire il denaro. Psicologicamente, non pagare in contanti ostacola la possibilità di avere sempre il polso su cosa spendiamo. In questo senso, c’è un’opportunità nel 2021 per i brand finanziari, poiché sarà più facile la gestione del denaro online. Non sempre il “compra ora, paga dopo” aiuta, perché alcune persone stanno spendendo soldi che non hanno. Grazie a social e app, c’è un grande margine per lavorare sull’educazione finanziaria. Negli Stati Uniti, Financial Gym offre uno spazio di co-working e di money-coaching; Vestpod tiene workshop, propone newsletter e podcast, e funge da spazio dedicato alle donne per parlare di finanza in un modo accessibile. Rainchq gestisce seminari online nella stessa ottica. In Italia, quest’anno vi abbiamo già parlato più volte dell’attività di Banca Widiba.
Lusso
Non solo status symbol
Nel corso degli ultimi dieci anni nella comunicazione di prodotto siamo scivolati velocemente dalla SSP – status selling proposition – alla CTSP – cultural tension selling proposition. Quello che un tempo era considerato un settore prettamente legato allo status symbol, dunque, è ora sotto la lente del microscopio dei consumatori, che cercano indizi sui valori. Stella McCartney si è posizionato come brand animalista sulla passerella per mettere in risalto l’eco-moda; A-COLD-WALL *, invece, ha istituito un programma di sovvenzioni di 25.000 sterline per aziende indipendenti di proprietà nera. Sono due esempi questi di come i marchi di lusso offrano più che semplici vestiti: riconoscono i problemi del mondo reale. La pandemia ha portanto anche la maggior parte delle persone a fare acquisti da casa e le griffe si sono mosse per intercettare questo incremento. Celine, ad esempio, ha debuttato con la sua collezione su TikTok, adattandosi a un nuovo modo di comunicazione.
Essere rilevanti per le persone
Insomma, emerge chiara da questa panoramica la necessità per i marchi di lusso di fare un po’ di introspezione in un clima culturale in rapida evoluzione. Essere rilevanti per le persone, diventa prioritario. Non basta: dovranno anche offrire esperienze online di rilievo, esclusive e su misura, come servizi di personal shopper e visite su appuntamento nei negozi. Le generazioni Y e Z sono le più appetibili per il mercato, con tutte le loro nuove esigenze, i loro nuovi comportamenti e gli stili di vita dettati dal digitale. L’Oriente, e in particolare la Cina, è ancora una volta la terra promessa per la crescita del lusso.
Nel 2021 chi potrà permetterselo aspirerà al “meno ma meglio” anche per i beni di lusso. Insomma, sono consumatori disposti a spendere anche un po’ di più di prima se il prodotto risponde a un bisogno e crea valore aggiunto nelle loro vite. Questa enfasi sulle esperienze basate sul valore creerà così nuove opportunità per interagire con le persone anche online. I giovani cinesi, nonostante i blocchi noti, sono tra i più attivi digitalmente al mondo, principalmente sui dispositivi mobili. Inoltre, sono anche abituati alla vendita via social da anni tramite l’ecosistema di WeChat che abbraccia l’intero percorso del consumatore, dal momento dell’ispirazione al pagamento.
La definizione di lusso oggi
Il lusso oggi è meno appariscente di un tempo. Ed è più impegnato, attento. E qui entra in gioco anche lo slow fashion, l’artigianato, la cura dei dettagli, l’abbattimento degli sprechi. Ma soprattutto: è un lusso permettersi quel tal vestito costoso, oppure è anche un lusso poter supportare marchi che considerano l’ambiente o l’impatto sociale? Oggi i brand devono rimarer concentrati più sullo scopo, che sul profitto – non solo per il consumatore, ma per la comunità, l’ambiente e il mondo in generale. Tra l’altro, gli acquisti di lusso hanno abbracciato categorie come capispalla, pigiameria, tessuti e articoli per la casa, perché è qui che le persone trascorrono così tanto tempo adesso – dando priorità al loro comfort.
Nel 2021, le persone non avranno così bisogno di acquistare “prodotti”, bensì “storie” – di materiali, persone, ritmi di lavorazione. A Cape Town Sindiso Khumalo, ad esempio, sta pensando all’impatto della sua attività a tutti i livelli: impiega ex prostitute in Burkina Faso per dare vita ai prodotti in modo tale che possano avere un lavoro sicuro; usa la canapa e altre fibre organiche e abbraccia artisti di più comunità, inclusa la comunità LGBTQ, per disegnare alcune delle sue stampe tessili. In Italia, una buona raccolta di brand sostenibili la offre Silvia Osella sul suo canale Instagram (curiosate tra le sue Stories archiviate).
Il piacere del second hand
La Generazione Z, in particolare, non ha remore a comprare di seconda mano. Ma non pensiamo al “vintage” degli anni ’60 e ’70: stiamo parlando di vestiti che non hanno poi così tanti decenni alle spalle; a volte, si tratta semplicemente di collezioni di passate stagioni – merito anche del fatto che non ci sono stante tendenze così stravolgenti. Il business dell’usato avrà un impatto sull’industria della moda (e del lusso) non indifferente. Dare al vestito una missione più nobile, renderlo il veicolo di un cambiamento positivo che impatti sulla realtà circostante e che promuova la cultura della sostenibilità. Con questa missione lo scorso primo dicembre è stato lanciato Clothest*, una nuova piattaforma di ecommerce no-profit di abiti e accessori second-hand di alta moda. Il portale finanzia i progetti di assistenza della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi, che aiuta circa 200 persone all’anno, con ospitalità per 40 persone mista tra residenze stazionarie e temporanee. I capi donati, chiusi nell’armadio e spesso inutilizzati, vengono così valorizzati per favorire uno sviluppo solidale.
Viaggi
Le turbolenze portate dal virus
Lo sappiamo: il 2020 ha colpito duramente il settore dei viaggi e del tempo libero. L’International Air Transport Association ha registrato il 66% di voli in meno quest’anno, per non parlare poi dei danni all’industria alberghiera, che solo negli Stati Uniti sono stimati quattro volte più gravi dell’impatto dell’11 settembre e del crollo finanziario del 2008 messi insieme, con una perdita finanziaria di 95 miliardi di dollari per McKinsey & Company. E poi ci sono i ristoranti, le palestre, i cinema, i centri commerciali… Ma non siamo qui a dare solo brutte notizie. Le persone hanno iniziato a incanalare la propria voglia di viaggiare prendendo in considerazione mete più vicine a casa, rinunciando all’aereo in favore di altri mezzi.
La dimensione locale
In verità, la pandemia non ha fatto altro che accelerare molte tendenze degli ultimi anni, come ad esempio considerare l’esplorazione di destinazioni a brevissimo raggio – a volte anche solo entro un quarto d’ora a piedi da dove si vive, piuttosto che andare in centro città. Ci stiamo abituando anche a trovare una quadra tra la libertà della nostra vita online e le restrizioni fisiche, cercando di non rinunciare alle esperienze collettive. Insomma, da soli noi esseri umani non ci sappiamo stare.
Anche i ristoranti, punti di riferimento all’interno del tessuto cittadino, si stanno adattando tra le due tensioni, con offerte che probabilmente sopravviveranno anche a fine pandemia. Anche nel 2021 continueranno a offrire consegne e kit per pasti fai-da-te, ad esempio. Piattaforme come Plate Away sono apparse proprio con questo scopo; si tratta di un portale che fornisce gli ingredienti per un pasto specifico al ristorante, li confeziona e li invia alle persone con le istruzioni di cottura. Stiamo anche assistendo a start-up che esplorano modelli di consegna alternativi che non addebitano commissioni ai ristoranti; Big Night ne è un ottimo esempio. Vedremo un’attenzione ancora maggiore sulla cucina casalinga, soprattutto intorno a ricette per cucinare con pochi ingredienti o per ricreare i piatti dei ristoranti della città preferiti.
All’aria aperta
Con l’arrivo della primavera 2021, vorremo trascorrere ancora più tempo all’aperto, senza ombra di dubbio, visto come abbiamo passato il periodo tra marzo e maggio dello scorso anno. Passeggiate in città, percorsi legati al cibo, all’arte e alla storia, nuovi sentieri escursionistici nella natura vicina. Le persone cercano attività educative per rendere i viaggi più significativi, e vorranno trascorrere più tempo in un posto solo piuttosto che andare in molti luoghi diversi durante un viaggio. Tutto questo è in linea con il modo in cui le persone desiderano esperienze che diano loro una soddisfazione più profonda. Più in generale, nei prossimi anni vedremo le attività all’aria aperta mettere radici molto profonde, favorite anche dalla possibilità di rallentare e prendere tempo per sé.
Anche in questo frangente, la tecnologia è servita a favorire le connessioni tra persone e luoghi. Una piattaforma chiamata HipCamp aiuta i proprietari terrieri privati ad aprire i propri spazi a chi vuole provare il campeggio – fenomeno in forte crescita negli Stati Uniti. Da sempre, in fondo, i grandi eventi hanno avuto l’effetto di cambiare in modo permanente il modo in cui viaggiamo. Pensiamo agli eventi dell’11 settembre, ad esempio, che non hanno impedito alle persone di viaggiare, ma hanno portato a prestare più attenzione a cose che prima non avevamo nemmeno considerato, come la sicurezza. D’ora in avanti, invece, per via dell’epidemia che abbiamo conosciuto, penseremo soprattutto alla salute e all’igiene.
Sentirsi rassicurati
In viaggio, vogliamo più rassicurazioni di prima. Vogliamo essere rassicurati sul fatto che sarà un’esperienza piacevole, che non dovremo subire una quarantena, che ci saranno i controlli ben organizzati all’arrivo in un altro paese. Ancora una volta, saremo più consapevoli. Tali rassicurazioni possono arrivare sia dai governi e dalle istituzioni, che dai brand, tra piani assicurativi più flessibili oppure tramite un supporto umano e personalizzato. La compagnia aerea TUI, ad esempio, ha creato Holiday Promise, una serie di impegni nei confronti dei clienti che li rassicura sul fatto che la loro esperienza di viaggio sarà il più sicura possibile, ad esempio che negli hotel vengano pulite a fondo le camere prima del soggiorno o il personale di cabina pulisca a fondo le cappelliere prima del decollo. Inoltre, promette supporto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, nonché modifiche gratuite per chi contrae il Covid-19 prima del viaggio.